FOTOGRAFIA come IMPRONTA 

Arte del vivere e arti del fare immagini e del lasciare tracce

Se di mestieri occorre vivere, il mestiere di vivere è sicuramente il più difficile. Quello che ognuno, in un modo o in un altro, non può che interpretare – a seconda delle circostanze – avendo consapevolezza di sé e, se del caso, con un SELFIE più o meno virtuale per ricordo di cosa si sta facendo, cioè niente o, meglio, di uno sguardo nel buco o obiettivo.

Anche senza essere esposta in una mostra per turisti mordi e fuggi, ogni foto fatta con cura, sincera e senza mistificazioni, è arte dell’impronta. Foto che diventa significativa per un osservatore, cioè che gli dice qualcosa di un passaggio “animale”, oppure da lasciare svanire o ad altri sguardi. 

Fare fotografie può essere un mestiere che serve per mangiare o per sentirsi vivere rappresentando a sé stessi la propria vita, guardando e fotografando qualcosa di sé negli altri. A volte le due cose per qualcuno sono andate insieme, oggi per la stragrande maggioranza delle persone vale solo la seconda ipotesi. Turisti fotografi o fotografi turisti. Così tutto diventa immagine, copia meccanica della realtà, copie di copie o fotocopie. Per questo si dice che la fotografia abbia sostituito non solo lo specchio, ma anche la nostra ombra, l’ombra nella caverna di Platone.

Arte povera e fotografia (elogio della fotografia a gratis)

L’artigiano fotografo ha bisogno di mangiare, di guadagnare, ma di solito è talmente innamorato del suo mestiere che continua a far foto anche quando non ha possibilità di essere pagato. Guardare e far vedere le cose con arte può dar da mangiare ma serve soprattutto a ri-vedere le cose e la vita, aiuta a guardare avanti. Assicurati i pasti e impossibilitati a vivere solo di oggetti d’arte, ma interessati a vivere con arte, la scelta di fondo che ogni persona è chiamata a fare su come passare il tempo è tra dedicarsi all’enigmistica quotidiana o scattare fotografie reali o virtuali. Sicuramente questa seconda attività è arte povera, nel senso proprio della parola, cioè a gratis. Una scelta da consigliare a chi si sente libero dall’ossessione di non perdere l’attimo fuggente ed è interessato a dire la sua sulla gestione politica delle immagini.

Tutti fotografati e tutti fotografi

Che ci facciamo in mezzo a questa grande confusione di immagini, a tutte queste figurazioni di ogni tipo? Se ci vediamo tutti come fotografi fotografati immagino che la principale foto del mondo sia la foto che a gratis fa DIO. Una foto che immortala tanti dettagli, tanti aspetti del mondo su cui tutti in modi differenti più o meno zumano: una stanza da letto, uno schermo, una zanzara in provetta, una guerra, una donna e un uomo che godono e si guardano negli occhi, un buco nero, una lite tra due vecchi, un bimbo pelato in chemioterapia, un albero.  “… Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano…” forse era un invito a fotografare?